giovedì 16 aprile 2020

Letteratura step_ #06

Nella letteratura numerosi sono i casi dove il concetto di progresso assume una veste negativa, sottolineando la paura dei letterati verso la tecnologia e il progresso in quanto questi potrebbero spogliare le diverse arti del loro reale valore, facendole diventare una caricatura di loro stesse dove il contributo umano diventerebbe apatico o addirittura obsoleto. I “ Quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Pirandello sono un ottimo esempio a supporto di questa tesi.


Serafino Gubbio  con la sua cinepresa.

Serafino Gubbio è un operatore cinematografico, il suo lavoro consiste nel riprendere gli attori che recitano con la sua cinepresa negli studi della Kosmograph, posizione che lo porta a considerarsi enormemente alienato dalla realtà. Il personaggio ha una raccolta di quaderni, attraverso la quale riesce a sfogarsi e liberare i suoi pensieri sulla sua condizione.  
Pirandello si pone in completa antitesi con il clima di celebrazione delle modernità espresso da Marinetti e dagli intellettuali dell’epoca. In questa opera lo scrittore analizza il cinema, una nuova arte sviluppatasi il quel periodo grazie allo sviluppo tecnologico, usandola come metafora per mostrare l’alienazione generata dalla modernità.
L’arte del cinema per lo scrittore è muta espressione di immagini e linguaggio di apparenze, non appena la cinepresa imprime meccanicamente la parola nel film, distrugge la sua stessa arte. trasformandosi in una copia caricaturale del teatro: una mimesis del reale.
Il romanzo inizia con una triste affermazione di serafino, egli infatti dichiara di studiare le persone speranzoso che loro riescano a capire cosa fanno, al contrario di lui che non comprende ormai neanche se stesso. Il personaggio si presenta subito apatico, freddo, privo di una partecipazione emotiva. Per lui e per i suoi colleghi le nuove divinità sono il ferro, il metallo, la macchina: strumenti attraverso i quali l’uomo si è trasformato da poeta fiero dei propri sentimenti in un automa schiavo e idolo degli strumenti meccanici, che ormai hanno soppiantato l’arte.
Per serafino scrivere i quaderni è uno sfogo, un urlo di aiuto di fronte alla sua “professionale impassibilità” nella quale si ritrova ad essere solamente una mano che gira la manovella. La morte dell’arte, della letteratura trovano metafora in Serafino anche attraverso i suoi quaderni, che sono digressioni, non sono completi, non sono romanzi.
La critica della cinepresa e di ciò che rappresenta arriva al culmine nel tragico finale della storia: durante una ripresa di Serafino un attore invece di sparare ad una tigre spara a sua moglie e poi viene successivamente divorato dalla tigre. Serafino decide di continuare impassibile a riprendere l’accaduto e successivamente utilizzare il nastro, modificandolo, per altri film.

”(…) NON GEMEVO, NON GRIDAVO: LA VOCE, DAL TERRORE, MI S’ERA SPENTA IN GOLA, PER SEMPRE. ECCO. HO RESO ALLA CASA UN SERVIZIO CHE FRUTTERÀ TESORI (…). AVEVA IN CORPO QUELLA MACCHINA LA VITA DI UN UOMO; GLIEL’AVEVO DATA DA MANGIARE FINO ALL’ULTIMO, FINO AL PUNTO CHE QUEL BRACCIO S’ERA PROTESO A UCCIDERE LA TIGRE.“ (SERAFINO GUBBIO)





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